giovedì 22 settembre 2016

CHE POSTO HA IN ITALIA LA CULTURA DELL'INNOVAZIONE?

Perché è importante che la cultura di un paese valorizzi l’industria, la tecnologia e la scienza? Quanto incidono questi valori sulla sua capacità innovativa ed il suo primato industriale nel mondo? Ed infine, nei comportamenti e nei valori degli italiani che posto ha la cultura dell’innovazione?


LA CAPACITÀ INNOVATIVA
È tradizione misurare la capacità innovativa di un paese con i risultati tangibili soprattutto della sua competitività industriale, della sua bilancia tecnologica ed output brevettuale. Sulla base di questi dati viene imputata ad una serie di variabili la responsabilità delle performance innovative, dalla spesa in Ricerca & Sviluppo, al regime fiscale, al mercato del lavoro, ai vincoli di tipo legale e burocratico. Quasi mai si prende in considerazione l’elemento umano, soprattutto nella sua dimensione comportamentale e valoriale, come fattore causale fondamentale per il primato innovativo di un territorio.

Vi sono ambienti dove tradizionalismo, conservatorismo ed ostilità culturale nei confronti delle scienza e della tecnologia rendono il consumatore diffidente e chiuso verso i nuovi prodotti
Questi aspetti culturali e psicologici vengono introdotti per la prima volta dieci anni fa dall’OCSE nella terza edizione del Manuale di Oslo. Emblematica è l’introduzione del concetto di innovatività del consumatore. Essa corrisponde alle propensioni individuali, di tipo cognitivo e comportamentale, a capire ed accettare un prodotto innovativo. Vi sono ambienti dove tradizionalismo, conservatorismo ed ostilità culturale nei confronti delle scienza e della tecnologia rendono il consumatore diffidente e chiuso verso i nuovi prodotti. Al contrario nei contesti sociali improntati al cambiamento, alla novità e permeabili alla cultura tecnologica è più facile che un’innovazione di prodotto trovi una domanda sensibile e ricettiva. Parallelamente al consumatore innovatore, il clima culturale e psicologico di un dato ambiente sociale agisce anche sulla generazione e selezione di individui propensi all’attività inventiva, innovativa e imprenditoriale. Ad esempio, dove vengono considerati positivi, oltre all’avanzamento delle conoscenze tecnico-scientifiche, anche valori come la propensione al rischio, la capacità creativa e di “problem-solving”, l’impegno lavorativo, l’avventura imprenditoriale con i rischi di fallimento impliciti ed il mercato come arena in cui cercare il primato delle proprie iniziative, si ha terreno fertile per lo sviluppo industriale e tecnologico.

I VALORI DEGLI ITALIANI
Il Rapporto sulla Cultura dell’Innovazione della Fondazione Cotec nasce nel 2009 con l’intento di fotografare proprio i comportamenti ed i valori degli italiani rispetto alla ricerca ed innovazione. L’edizione del 2016 ci fornisce una serie di informazioni utili per capire quanto l’ambiente culturale italiano sia o meno fertile per l’innovazione e l’impresa. La diagnosi è ambivalente. Vediamo perché.

Permangono i preconcetti sui benefici delle innovazioni nel campo dell’energia nucleare, degli OGM e dell’estrazione e trasporto dei combustibili fossili
Di fronte alla domanda sulla sensibilità o riluttanza di fronte a qualcosa di nuovo una grande percentuale sopra l’80% si dice aperta per i vari tipi di innovazione caratterizzate dalla sostenibilità ambientale in campo energetico, in quello della mobilità e dei prodotti a largo consumo. Questo tipo di innovazione per più del 60% del campione è quello che ci vuole per rendere più produttivo ed efficiente l’uso delle risorse. Permangono però i preconcetti sui benefici delle innovazioni nel campo dell’energia nucleare, degli OGM e dell’estrazione e trasporto dei combustibili fossili. Con un dato significativo che vede le fasce a basso reddito rispetto a quelle medio-alto più propense agli stereotipi irrazionali (ad es. nel nucleare solo il 17,9% la ritiene benefica rispetto al 33,3%) e più negative sui benefici delle innovazioni degli ultimi vent’anni (41,9 vs. 22,2).

LA DIFFERENZA GENERAZIONALE
Un dato molto interessante e preoccupante è quello relativo alla differenza generazionale nella valutazione dell’innovazione. Vi è una diffusa superiorità della fascia 61-80 anni rispetto a quella 18-34 anni in vari ambiti di giudizio (con quella 36-60 che si situa a metà). Il 64,7 % degli anziani manifestano curiosità ed interesse per la notizia di una scoperta scientifica verso il 48,9% di giovani. Ed un divario di poco minore si manifesta per l’informazione sulle innovazioni nel campo dell’energia solare, veicoli, prodotti ecologici, Pubblica Amministrazione ed alimenti. Inoltre gli anziani hanno per il 41,6% la convinzione che l’Italia sia fra i 10 paesi più innovatori del mondo contro il 22% dei giovani. Questi dati sono il termometro delle condizioni disastrose di insegnamento delle materie scientifiche nella scuola (come è messo anche in evidenza dal PISA dell’OCSE) e da un ambiente culturale ed informativo che, a parte Piero Angela, non promuove fra i giovani l’interesse e la curiosità per la cultura scientifica e tecnologica che si riscontra in molti altri paesi occidentali.

MODELLI DI INNOVAZIONE
Interessanti sono le risposte sugli aspetti comportamentali ed “epistemologici” dell’innovazione. In primo luogo si crede (con una percentuale molto più rilevante fra chi ha la laurea rispetto alla licenza media) che i fattori cognitivi ed affettivi come la creatività, la curiosità, l’intuito, l’intelligenza, la capacità di rischiare e l’ottimismo siano preponderanti nel generare la propensione ad innovare. Molto più della istruzione, dell’esperienza e della abilità manuale.

Mentre fuori dall’Italia si ritiene che le università, i centri di ricerca, le grandi aziende, la PA e gli investitori finanziari siano i motori dell’innovazione, per il nostro paese il profilo diventa molto più basso
Questa preponderanza delle variabili comportamentali si lega in parte al modello di innovazione che gli intervistati attribuiscono all’Italia. Alla domanda sui protagonisti in Italia e nel mondo, mentre fuori dall’Italia si ritiene che le università, i centri di ricerca, le grandi aziende, la PA e gli investitori finanziari siano i motori dell’innovazione, per il nostro paese il profilo diventa molto più basso. Si reputa che il baricentro si trovi, infatti, soprattutto nelle piccole aziende, nei cittadini e nei consumatori (comprese le sue associazioni). Assistiamo proprio ad un ribaltamento di percezione che riflette l’arretratezza del nostro sistema di Scienza & Tecnologia & Impresa e una scarsa fiducia nella nostra capacità a fare ricerca di frontiera. Ciò corrisponde anche al concetto di innovazione emerso dalla rilevazione che sposa in pieno il modello “demand pull” (introdurre qualcosa che cambia le abitudini di consumo della gente, 49,1%) rispetto a quello “technology push” (innovazione da una nuova scoperta scientifica o prodotto tecnologico, 25,8%).

AUTORITÀ SCIENTIFICA E ALTRE FONTI
Quali sono le sorgenti della legittimazione e della certificazione di una innovazione per il suo inserimento nel mercato, soprattutto relativamente ai rischi per la salute? A questa domanda di epistemologia sociale l’indagine sembra dare una risposta abbastanza rassicurante. Il 50,9% crede nella autorità della comunità scientifica (soprattutto chi ha la laurea per il 54,9%) mentre solo il 37,8% ha fiducia in altre fonti, come associazioni, informazioni sul web ed amici (con il 41,2% di chi è in possesso solo della licenza media). Si può affermare che l’irrazionalità post moderna e “new age” incarnata nel principio di evitamento prudenziale (per cui qualunque informazione non standard e marginale di rischio presunto deve bloccare una innovazione) non riesce a dominare quello di certezza scientifica, anche se i margini non sono ampi.

Preoccupa la deriva di disinteresse crescente verso la cultura scientifica e tecnologica da parte delle nuove generazioni
Per concludere il paese sembra da una parte scommettere su un futuro tecnologico industriale legato alla sostenibilità ed all’ambiente, ma non crede nella sua capacità a generare scoperte scientifiche ed innovazioni radicali. Preoccupa inoltre la deriva di disinteresse crescente verso la cultura scientifica e tecnologica da parte delle nuove generazioni che dovrebbero costituire invece il volano del nostro progresso tecnologico ed industriale. In questo modo l’Italia non potrà che rafforzare il suo ruolo secondario di “outsider” e “follower” degli altri paesi occidentali.

ITALIA E CATCHING-UP
In definitiva la rappresentazione che esce da questo rapporto non è quella di un Italia ansiosa di affermare il suo primato nel mondo, ma quella di un paese con un ruolo di inseguimento ed al meglio di “catching-up” tecnologico ed industriale di altri paesi più avanzati ed alla frontiera della Ricerca & Sviluppo.

Riccardo Viale
Co-Fondatore della Fondazione Cotec; professore di Economia Comportamentale School of Government LUISS, Roma

Fonte: CheFuturo

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