martedì 28 giugno 2016

BREXIT: SENZA REGNO UNITO VANTAGGI MADE IN ITALY DEL FOOD IN EUROPA

Luigi Pio Scordamaglia, Presidente di Federalimentare: su Politica agricola comune il Regno Unito è sempre stato una zavorra. Senza ostracismo della Gran Bretagna possiamo uniformare le regole sull’etichettatura.


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“Riassumendo, sì, credo che senza la posizione di ostracismo di Gran Bretagna e di altri Paesi del nord si possa uniformare le regole sull’etichettatura e sull’origine che è quello che vogliamo tutti”: così Luigi Pio Scordamaglia, Presidente Federalimentare, è intervenuto questa mattina al 4° Forum Food & Made in Italy del Sole 24 Ore in merito alle possibili conseguenze della Brexit sul mercato alimentare italiano. “Il ‘Made in’ di cui si parla oggi sui giornali – ha aggiunto Scordamaglia – non è un ‘Made in’ che interessa l’alimentare, ma è un ‘Made in’ che interessa gli altri settori.

L’alimentare ha un suo settore a parte. Però credo che anche nel settore della trasparenza, nel settore dell’etichettatura di origine, la Gran Bretagna abbia avuto grandi responsabilità a frenare sempre. Questo ha ingenerato delle reazioni negative anche in Italia. Abbiamo sempre detto, per esempio come industria, che mettere in etichetta, valorizzare l’origine, anche della materia prima italiana, è un valore aggiunto quando questo è possibile, senza ovviamente criminalizzare, come invece a volte si fa, le importazioni di materia prima quando abbiamo necessità di farlo.  

La posizione di Paesi come il nord Europa e la Gran Bretagna hanno impedito che questo venisse fatto a livello europeo, per cui come reazione, sbagliata, ovviamente ci sono state una serie di iniziative nazionali, da ultimo l’iniziativa francese su latte e salumi, l’iniziativa italiana su latte e formaggi, che sono dei tentativi di risolvere un problema che ovviamente non ha un gran senso perché fatto su base nazionale.

Non ci vuole un bambino – conclude Scordamaglia - per capire che si applica solo ai produttori nazionali e non all’ampio prodotto finito che viene oggi importato sui nostri scaffali”. In generale sul mercato del food and beverage, il Presidente di Federalimentare Luigi Pio Scordamaglia ha sottolineato come il Regno Unito “è sicuramente un mercato di sbocco molto molto interessante, oltre a essere il quarto mercato di sbocco italiano, cresciuto a due cifre, e dove la domanda c’è e rimarrà anche nei prossimi anni.

I risultati di svalutazione della sterlina sono evidenti – ha aggiunto Scordamaglia – se questo dovesse continuare, il potere di acquisto di quel mercato si riduce. Io però non vedo né un drastico crollo della domanda, né soprattutto la nascita di chissà quali dazi o quali ostacoli. Credo che nella peggiore delle ipotesi comunque lo spazio europeo di libero scambio continui a esistere e quindi non vedo conseguenze negative.

Di contro se parliamo di politica agricola comune, credo che il Regno Unito sia stato davvero un fardello, sia stato una zavorra che ha impedito una vera integrazione della politica agricola comunitaria, quindi l’uscita dal punto di vista di miglioramento della regolamentazione degli standard è sicuramente positiva”.

lunedì 27 giugno 2016

BREXIT E ITALIA: IMPATTO ECONOMICO ED OPPORTUNITÀ PER IL MERCATO ITALIANO

Commento di Philipp Reuter, Director Mediterranean Region, Frost & Sullivan
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è un evento negativo dal punto di vista di un’unione che – pur non essendo perfetta – è garante di pace, libertà e solidarietà. Ora più che mai è necessario&nbspanalizzare i rischi e le opportunità per l’Italia ed il resto dell’Europa. 
brexit
Frost & Sullivan, già prima del referendum del 23 giugno, ha lavorato con diverse aziende inglesi ed europee su strategie per mitigare il rischio di una possibile Brexit. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo identificato ottime probabilità di attrarre aziende ed istituzioni europee al momento basate a Londra, come ad esempio The European Medicines Agency (EMA) che dovrà trovare una nuova patria in un paese dell’Unione. Il forte tessuto industriale farmaceutico Italiano mette l’Italia tra i paesi meglio posizionati per offrire all’EMA un territorio ottimale dove poter collaborare con industria, ospedali d’eccellenza e start-up innovative. La presenza in Italia della European Food Safety Authority (EFSA) potrebbe altresì aiutare ad attrarre l’EMA, dal momento che vediamo a livello globale un chiaro trend verso l’integrazione dell’alimentazione nel mondo della salute. Lo sviluppo innovativo degli additivi alimentari – prodotti in gran parte da aziende del settore pharma – potrebbe trarre beneficio da una concentrazione di questi due enti in Italia. Ciò porterebbe ad un nuovo polo dell’innovazione in Italia e di conseguenza ad un rientro di talenti brillanti e giovani nel nostro paese, un capitale umano di cui l’Ialia ha forte bisogno.

domenica 26 giugno 2016

BREXIT E ITALIA: DELOCALIZZAZIONE, DETASSAZIONE E NUOVI ACCORDI STRATEGICI

Quali sono le principali opportunità che la Brexit potrebbe generare per le imprese italiane? 
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brexit

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“In Italia c’è ampio consenso in merito all’impatto negativo che la Brexit avrà sull’economia del Regno Unito ed europea nel breve così come nel lungo periodo, ma molta divergenza riguardo alla dimensione ed intensità di tale impatto.
L’Italia è fra i paesi che risultano meno vulnerabili rispetto all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, tenuto conto difattori quali ad esempio le esportazioni di beni e servizi verso il Regno Unito – attualmente attorno al 3% del Pil nazionale, i flussi bidirezionali di emigrazione, ed i crediti del settore finanziario.
È però naturale aspettarsi un impatto sulle quotazioni delle aziende Italiane in borsa, nonchè sullo spread nel breve e medio periodo, dovuto alla generale instabilità dei mercati legata alle conseguenze politiche della Brexit, ed alla maggiore debolezza dovuta al debito pubblico italiano. Bisogna inoltre considerare il potenziale rischio di effetti emulativi da parte di altri stati dell’Unione Europea.

giovedì 23 giugno 2016

INTERNAZIONALIZZAZIONE: STORIE DI DETERMINAZIONE E DI SUCCESSO

Il 23 giugno si è tenuta la tappa di Matera del Roadshow 2016, dedicato all’'internazionalizzazione delle imprese, iniziativa che vede per la prima volta insieme tutti i soggetti - pubblici e privati - del Sistema Italia, impegnati in un'azione congiunta di medio termine su tutto il territorio nazionale per sostenere le imprese nei processi di internazionalizzazione.

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I dati ISTAT del 1° trimestre 2016 registrano la diminuzione congiunturale delle esportazioni nazionali, che interessa tutte le ripartizioni territoriali.

Tra le regioni che forniscono comunque un contributo positivo, si segnala la Basilicata (+118,6), che cresce nelle esportazioni verso gli Stati Uniti e registra anche un (+22,8%) di vendite verso i paesi Ue. L’aumento delle vendite di autoveicoli dalla Basilicata contrasta la diminuzione dell’export.
Alcuni imprenditori del territorio hanno voluto condividere con noi il racconto di come le loro aziende siano arrivate a sbarcare sui mercati globali, quali percorsi, quali strumenti, quali servizi abbiano utilizzato in questo processo espansivo, che è fatto di determinazione e di impegno.
Storie di successo, replicabili ed esemplificative, che partono da un Sud positivo, capace di esprimere qualità, innovazione e ricerca.

“Inizialmente abbiamo visitato fiere del settore Automotive - sin dalla fine degli anni ’80 - così da intercettare i bisogni, anche latenti del mercato e modellare la nostra proposta, sviluppando e producendo linee di prodotti conformandoli al settore di riferimento” – ci ha detto Antonio Braia, CEO BRECAV Srl, azienda specializzata nella produzione di ricambi elettrici per auto, in particolare in cavi candela, bobine di accensione diretta e statica.

“Al fine di perseguire quest’obiettivo, l’azienda ha investito sul proprio capitale umano e su una cultura d’impresa orientata al saper comunicare con efficacia la propria identità (Brand), tramite il nostro claim, ‘Brecav, Made in Italy, by Italians’, esempio di forte identità italiana, sia da un punto di vista concettuale, progettuale e realizzativo, dove l’ingegno italiano si coniuga con la passione per il proprio lavoro, in un mercato globale. Le prime fiere visitate sono state Automechanika Francoforte, Automotor Lingotto Torino, Equip’Auto Parigi, che ci hanno permesso di osservare, sondare e avviare un confronto con aziende già affermate nel contesto Automotive internazionale.”
Ha poi aggiunto: “E’ stato grazie ad ICE Roma, che abbiamo iniziato a partecipare, dal 1996, a fiere Automotive e Nautica, tramite collettiva Italiana ICE ad Automechanika Francoforte, Automec di San Paolo del Brasile, Mims di Mosca, PAACE Mexico City, Automechanika Dubai, AAPEX Las Vegas (con la quale è ancora in atto una collaborazione). Grazie al suo supporto abbiamo potuto muovere i primi passi che hanno permesso, dopo qualche anno, di esporre presso le più importanti fiere di Settore al mondo, con un nostro stand.
L’ICE e i suoi servizi hanno facilitato il nostro sviluppo a livello internazionale, tanto che ancora oggi, collaboriamo con ICE Automotive e Nautica per le fiere americane.”

Un’altra testimonianza ci viene da un settore altrettanto interessante del materano, quello dell’arredamento
. “La nostra azienda ha affrontato un graduale percorso di internazionalizzazione dotandosi di prodotti, know-how e risorse umane che hanno aggredito i mercati verso i quali la nostra presenza è sempre più consolidata. Ad oggi la nostra azienda vanta collaborazioni in oltre 40 nazioni e annovera la presenza diretta, con negozi dedicati monomarca, a Singapore, Manila, Taipei ed altre importanti città asiatiche. La percentuale dei prodotti destinati all’export ha ampiamente superato la soglia del 60%” – ha raccontato Max Dipalma, sales Manager di EGOITALIANO Srl, azienda snella e flessibile che opera nel principale distretto produttivo italiano del mobile imbottito.

Il Roadshow “Italia per le Imprese, con le PMI verso i mercati esteri” è patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ed è promosso e sostenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico. Oltre all'ICE-Agenzia, a SACE e a SIMEST, l’evento si avvale della collaborazione di Confindustria, Unioncamere e di Rete Imprese Italia.

lunedì 20 giugno 2016

BREXIT. UK, UN REGNO DISUNITO

Il voto pro Brexit ci consegna un Regno Unito molto diviso. È probabile che la Scozia torni a chiedere l’indipendenza. Anche le linee di reddito segnano una divisione: le aree ricche hanno scelto “remain”, quelle meno benestanti hanno optato per il “leave”. E si apre una questione generazionale.


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Il giorno dopo

Difficile esprimere una reazione così vicino all’annuncio del risultato che vede l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, avvenuto verso le 8 italiane a Manchester. L’esito del voto, in realtà, era chiaro dalla sera del 23 giugno. Lo preannunciavano, verso l’1 italiana, i risultati ufficiali di due città del Nord-Est, Sunderland e Newcastle, che, pur votando entrambe secondo le previsioni, la prima per Brexit, la seconda per “remain”, lo hanno fatto con margini completamente al di là delle aspettative: Newcastle con il minimo scarto mentre a Sunderland a ogni voto per restare ne corrispondevano due pro-Brexit. Se lì va così, vuol dire che Brexit ha vinto. Entrambe le città sono tradizionalmente laburiste, quindi molti elettori che di solito votano fedelmente per il Labour hanno rifiutato di seguire le indicazioni unanimi della dirigenza del partito, e hanno votato Brexit. La tendenza è stata poi confermata a livello nazionale Quali conclusioni trarre dal voto? Sicuramente andranno fatte analisi più dettagliate e rigorose, ma queste le mie prime impressioni.

Voto diviso per nazioni


La Scozia è completamente diversa dall’Inghilterra e dal Galles, a loro volta diverse dall’Irlanda del Nord. In Scozia “remain” ha vinto in tutte le circoscrizioni, ottenendo complessivamente il 62 per cento dei voti. Per l’Irlanda del Nord, che ha votato in maggioranza “remain”, c’è una divisione geo-politica: nelle zone all’est, più protestanti-unioniste ha vinto Brexit, mentre vicino al confine con l’Eire, in aree più cattoliche e culturalmente vicine alla repubblica, gli elettori hanno scelto “remain”. Questa diversità porterà quasi sicuramente a un nuovo referendum per l’indipendenza in Scozia. Già se ne è accennato in fase di campagna elettorale, ma viste le cifre della differenza tra le due nazioni, sarà per Londra politicamente impossibile resistere a una nuova richiesta di voto.


Una questione di reddito


In Inghilterra e Galles, ed è un punto che non ho ancora sentito sottolineare, la mia impressione è che la divisione sia soprattutto lungo linee di reddito: aree ricche hanno scelto “remain”, invece quelle meno benestanti hanno optato per Brexit. Jeremy Corbyn, leader laburista, ha probabilmente ragione quando dice che molti elettori hanno voluto punire il governo per le loro difficoltà economiche e hanno semplicemente votato contro “la politica”. Alcune delle aree più ricche, dove alle elezioni politiche i Tory ottengono maggioranze schiaccianti, a nord e sud, a est e a ovest, a Londra e in zone davvero rurali, “remain” vince dove il reddito è alto: Tunbridge Wells, e Guilford, la “stockbroker belt”; la chic Kensington e Chelsea, che contiene Sloane Square; South Hams, nel profondo sud-ovest sulla Manica; Harrogate, nello Yorkshire, uno dei vertici del triangolo più ricco del paese, fino alle zone del Costwold, la zona dei ricchi villaggi pittoreschi da cartolina.


La divisione generazionale

Un’altra impressione, che dovrà però essere confermata da ulteriori sondaggi perché i dati elettorali disponibili oggi sono solo a livello di circoscrizione, è di una netta divisione generazionale: i giovani pro-Europa, i vecchi pro-Brexit. Questo ovviamente non depone bene per il futuro: non è chiaro se un giovane brillante e ambizioso vorrà restare permanentemente in Inghilterra, dove sembra prevalere una visione isolazionistica e nostalgica del mondo. Anche se politicamente inevitabili, le dimissioni di David Cameron, che passerà alla storia come uno dei peggiori premier di sempre, lasceranno la nazione con una spaventosa assenza di carisma a livello internazionale, guidata come sarà da figure quali Boris Johnson e Nigel Farage con all’opposizione Jeremy Corbyn: nessuno di loro può onestamente dire di rappresentare gli elementi più dinamici e innovativi della società e dell’economia inglese.
Questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it
tratto da Lavoce.info
GIANNI DE FRAJA
Ha conseguito il dottorato a Siena nel 1987 e il DPhil a Oxford nel 1990; è attualmente professore ordinario di Economia a tempo parziale presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e presso l’University of Nottingham ed è Research Fellow al Cepr. In passato è stato professore ordinario a York e a Leicester, e visiting scholar a Tokyo, Bonn, e Barcellona. La sua recente ricerca si è soffermata sulle aree dell’economia dell’istruzione, economia del lavoro, economia industriale, coprendo sia aspetti teorici, sia applicazioni empiriche. La sua attività di ricerca si è concentrata sulla pubblicazione di articoli accademici in riviste internazionali. È stato direttore di dipartimento a Leicester, e co-ordinatore del dottorato a York, Leicester e Nottingham, e membro del GEV13 per la VQR 2016.

mercoledì 15 giugno 2016

ECOMMERCE: È BOOM PER 15MILA IMPRESE ITALIANE

Raddoppiate in 6 anni. Rincorsa più veloce in Abruzzo e Puglia. Ma il fenomeno cresce a doppia cifra anche in Lombardia e nel Nord Est (Veneto, Friuli Venezia Giulia).  



Borse, cosmetici, accessori, gadget, abbigliamento, articoli per bambini e per la pesca. Ma anche auto e moto, casalinghi, vino, scarpe, biciclette, parquet, prodotti elettronici e farmaceutici, libri, occhiali, giocattoli fino alle "piante di acqua dolce", ai sistemi di allarme e ai servizi di pompe funebri. 

"È solo una piccola frazione di quello che si può comprare sul web attraverso le quasi 15mila aziende operanti nel settore delle vendite online che, a fine 2015, risultavano iscritte al Registro delle imprese delle Camere di commercio" - spiega Stefano Pigolotti, fondatore di Vikyanna, azienda di formazione manageriale e di servizi e soluzioni per l'agevolazione di impresa .

l ritratto del fenomeno emerge dai dati elaborati da InfoCamere per Unioncamere, secondo i quali il 'boom' delle imprese di vendita via internet (circa 9mila imprese in più) corrisponde quasi alla perfezione all'intero saldo del settore del commercio nell'arco degli ultimi sei anni. 

Confrontando il segmento delle vendite web con l'intero mondo del commercio, tra il 2009 e il 2015 le imprese della vendita al dettaglio attraverso internet sono infatti aumentate di 8.994 unità, pari ad una crescita del 151,6% (in media il 25,3% all'anno).

Nello stesso periodo, l'insieme del settore del commercio al dettaglio - poco più di 870mila aziende - ha "guadagnato" solo 7.170 imprese, pari ad una crescita dello 0,83% nell'arco dei sei anni. Considerando anche chi vende all'ingrosso, l'intero comparto del commercio - costituito da 1,5 milioni di imprese - ha fatto un passo praticamente impercettibile: 1.876 aziende in più, lo 0,12%.

Come dire che l'intera crescita - in termini di operatori - del commercio, si rispecchia nel saldo di quelli che hanno scelto il web. A guidare la corsa del commercio virtuale sono gli imprenditori abruzzesi (+260% le imprese con sede nella regione adriatica, nel periodo considerato), seguiti da quelli pugliesi (+218%) e da quelli campani (+202%). In termini assoluti, la crescita più consistente si registra invece in Lombardia (1.694 imprese in più nei sei anni), in Campania (+1.069) e nel Lazio (+983). La classifica delle prime tre regioni si rimescola, infine, guardando alle province: prima è Roma (1.384 le imprese con sede in provincia alla fine del 2015), seconda è Milano (1.260) e terza Napoli (897)

martedì 7 giugno 2016

AREA EXPO: HUMAN TECHNOPOLE PROMOSSO DAI SCIENZIATI ITALIANI IN USA

Capacità di innovare e di fare ricerca. Queste le parole chiave che permetteranno alle nostre aziende di essere competitive con l'estero. 



Secondo ISSNAF, fondazione che raccoglie 4.000 donne e uomini di scienza italiani che lavorano in Nord America, il polo di ricerca nell’area ex Expo può diventare un attrattore di talenti. Il parere di Paolo Sassone-Corsi, Filippo Mancia, Chiara Manzini e Bruno Conti.

Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, la comunità degli scienziati italiani che fanno ricerca e insegnano negli Stati Uniti e in Canada guarda con grande attenzione al dibattito che in Italia si è acceso attorno al progetto del governo di realizzare Human Technopole: un polo scientifico sui temi della salute e dell’invecchiamento da costruire su 30mila metri quadrati all’interno dell’area che ha ospitato Expo 2015 a Milano.
 
ISSNAF (Italian Scientists and Scholars of North America Foundation), organizzazione no-profit fondata nel 2008 che riunisce 4mila ricercatori della diaspora italiana in Nord America, vede con favore la costruzione del polo milanese. Per il professor Vito M. Campese, presidente e fondatore di ISSNAF, la fondazione «rappresenta un patrimonio intellettuale ed una immensa risorsa che l’Italia dovrebbe utilizzare con maggiore assiduità e convinzione. Gran parte dei membri ISSNAF si sono laureati in Italia prima di emigrare in Nord America e ritengono loro dovere fare qualcosa per il loro paese di origine, soprattutto in momenti di notevole difficoltà come quelli attuali. Molti membri mantengono stretti rapporti di collaborazione con centri italiani di ricerca. Questo rapporto potrebbe e dovrebbe intensificarsi con una migliore coordinazione con le istituzioni italiane». «Può rappresentare il primo di una serie di progetti che l’Italia mette in campo per attirare italiani che sono ora all’estero e permettere loro di riportare nel loro Paese la conoscenza che hanno sviluppato in tanti anni di lavoro, oltre che attrarre ricercatori stranieri» afferma Monica Veronesi, executive director di ISSNAF. 

Quattro ricercatori d’eccellenza, Paolo Sassone-Corsi, Filippo Mancia, Chiara Manzini e Bruno Conti, hanno deciso di far sentire la loro voce per sostenere l’avvio del polo.

lunedì 6 giugno 2016

LE AZIENDE BRESCIANE PARLANO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

La prossima tappa del Roadshow 2016 “Italia per le Imprese, con le PMI verso i mercati esteri” sarà Brescia, capoluogo di un territorio molto operoso, che, già da tempo, si distingue per una forte propensione all’internazionalizzazione.







All’interno del contesto regionale, già positivo (il valore totale delle esportazioni della Lombardia per il 2015 ammonta ad 111,2 miliardi di €, con un +1,5% rispetto al 2014), Brescia ha infatti confermato risultati davvero importanti: lo scorso anno le esportazioni hanno raggiunto quota 14,7 miliardi di €, ovvero +3,4% rispetto al 2014.

Quali sono le ragioni di questo successo e attraverso quali strumenti o servizi le aziende sono riuscite ad ampliare i propri mercati? La risposta a questi quesiti è fondamentale, affinché altri imprenditori possano prendere spunto per dare slancio alle proprie produzioni e replicare, anche in altri settori, storie di internazionalizzazione di successo.

HUMAN TECHNOPOLE PROMOSSO DAI SCIENZIATI ITALIANI IN USA

LA VOCE DI QUATTRO RICERCATORI D’ECCELLENZA: “ITALIA, NON SPRECARE L’OPPORTUNITÀ DI ATTIRARE TALENTI” Secondo ISSNAF, fondazione che raccoglie 4.000 donne e uomini di scienza italiani che lavorano in Nord America, il polo di ricerca nell’area ex Expo può diventare un attrattore di talenti. Il parere di Paolo Sassone-Corsi, Filippo Mancia, Chiara Manzini e Bruno Conti. 



Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, la comunità degli scienziati italiani che fanno ricerca e insegnano negli Stati Uniti e in Canada guarda con grande attenzione al dibattito che in Italia si è acceso attorno al progetto del governo di realizzare Human Technopole: un polo scientifico sui temi della salute e dell’invecchiamento da costruire su 30mila metri quadrati all’interno dell’area che ha ospitato Expo 2015 a Milano.
ISSNAF (Italian Scientists and Scholars of North America Foundation), organizzazione no-profit fondata nel 2008 che riunisce 4mila ricercatori della diaspora italiana in Nord America, vede con favore la costruzione del polo milanese. Per il professor Vito M. Campese, presidente e fondatore di ISSNAF, la fondazione «rappresenta un patrimonio intellettuale ed una immensa risorsa che l’Italia dovrebbe utilizzare con maggiore assiduità e convinzione. Gran parte dei membri ISSNAF si sono laureati in Italia prima di emigrare in Nord America e ritengono loro dovere fare qualcosa per il loro paese di origine, soprattutto in momenti di notevole difficoltà come quelli attuali. Molti membri mantengono stretti rapporti di collaborazione con centri italiani di ricerca. Questo rapporto potrebbe e dovrebbe intensificarsi con una migliore coordinazione con le istituzioni italiane». «Può rappresentare il primo di una serie di progetti che l’Italia mette in campo per attirare italiani che sono ora all’estero e permettere loro di riportare nel loro Paese la conoscenza che hanno sviluppato in tanti anni di lavoro, oltre che attrarre ricercatori stranieri» afferma Monica Veronesi, executive director di ISSNAF.
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Quattro ricercatori d’eccellenza, Paolo Sassone-Corsi, Filippo Mancia, Chiara Manzini e Bruno Conti, hanno deciso di far sentire la loro voce per sostenere l’avvio del polo. 
Secondo Paolo Sassone-Corsi, ricercatore nel campo della genetica e della biologia cellulare, direttore del Center for Epigenetics and Metabolism all’UCI (University of California), «non bisogna seguire il falso punto di vista che fuori dall’Italia, nei Paesi dove la ricerca è più valorizzata, questa venga finanziata con un modello bottom-up, cioè dal basso verso l’alto. Al contrario in molti di questi Paesi le scelte strategiche vengono prese dal governo con un sistema top-down: funziona così il National Institute of Health, gestito a livello federale negli Usa, o il Max Planck Institute in Germania, di cui sono membro». A patto che, sostiene Sassone-Corsi, vi sia una rigorosa verifica dei risultati: «È fondamentale che Human Technopole sia sottoposto a verifiche periodiche, con una timeline e obiettivi molto precisi. Di certo un polo di ricerca sui temi della genomica collegata all’alimentazione e all’ambiente è molto attuale: l’Italia non ha ancora un centro di genomica importante, questa è l’occasione per colmare questo gap». E conclude: «Sarebbe illogico finanziare Human Technopole ed escludere il finanziamento di altre strutture. Spero che questo sia un segnale positivo e che il governo investirà sempre di più nella ricerca scientifica di qualità in Italia».
Roberto Cingolani - direttore IIT 
«È un’opportunità unica per il Paese, che bisogna cogliere al voro – afferma Filippo Mancia, biologo strutturale che fa ricerca e insegna alla Columbia University di New York –. Finalmente c’è la possibilità di creare un ambiente internazionale per il tipo di composizione e per la rilevanza delle ricerche, un ingrediente essenziale per una ricerca di successo. Se il recruiting sarà fatto utilizzando i metodi meritocratici, alla stregua di quelli utilizzati in Nord America, e in questo l’Istituto Italiano di Tecnologia che guiderà il polo ha dimostrato capacità, avrà i presupposti per esser di successo». Per Mancia, Human Technopole può essere un modo per dare un contributo dall’estero: «Nel mio settore c’è stata una rivoluzione negli ultimi due anni, grazie ai microscopi elettronici di ultima generazione. Una macchina costa oltre 5 milioni di dollari, a Manhattan ne abbiamo 5, in Italia nessuna, ma il polo di Milano potrebbe esserne dotato. Sono pronto a dare il mio contributo di expertise, e come me ci sono tanti italiani all’estero che vogliono far lo stesso, senza seconde finalità».
Maria Chiara Manzini, neurobiologa assistant professor alla George Washington University School of Medicine, nella capitale, parte da una premessa: «L’università in Italia deve essere maggiormente finanziata. Questo non toglie che Human Technopole possa fornire un forte impulso alla ricerca. Soprattutto perché in questo momento essere competitivi nella ricerca mondiale richiede forti investimenti per comprare macchinari molto costosi, e il nuovo polo potrebbe diventare una risorsa per il complesso del sistema universitario italiano. Se viene pianificato come una struttura sostenibile a lungo termine, e i benefici arriveranno a tutto il sistema universitario».
Bruno Conti è un biologo, da 24 anni negli Stati Uniti d’America. «Mi sono formato in Italia e sono arrivato negli USA nel 1992 grazie a un programma del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica – racconta –. L’Italia ha investito su di me dandomi un periodo di formazione all’estero affinché potessi riportare a casa quanto avrei imparato, ma alla fine non sono più tornato perché non c’è mai stata un’opportunità di farlo. Spero che Human Technopole possa aprire le porte sia agli italiani, sia a quelli che come me sono andati all’estero, sia a scienziati di tutto il mondo. Mi auguro che premi la meritocrazia e che diventi un esempio. Grazie a Issnaf anche noi ricercatori italiani all’estero non siamo più dispersi, stiamo coordinando le forze e siamo pronti a dare il nostro contributo».
Che cos’è ISSNAF
Fondata nel 2008 sotto gli auspici dell’Ambasciata Italiana negli Stati Uniti su iniziativa di 36 noti scienziati ed accademici, tra cui 4 Premi Nobel, ISSNAF (Italian Scientists and Scholars of North America Foundation) è un’organizzazione no-profit, la cui missione è quella di promuovere la cooperazione in ambito scientifico, accademico e tecnologico tra ricercatori e studiosi italiani che operano in Nord America ed il mondo della ricerca in Italia. 
Con un network di oltre 4.000 affiliati, che annovera illustri scienziati e giovani ricercatori, ISSNAF è il maggiore rappresentante della diaspora intellettuale italiana in Nord America e un ponte che collega le due rive dell’Atlantico, per consentire la condivisione e la diffusione di un’inestimabile patrimonio conoscitivo.
Nella sua attività, ISSNAF collabora con altre organizzazioni e fondazioni (Agenzia Spaziale Italiana, Fondazione Marche, Consiglio Nazionale Ingegneri), istituzioni ed enti governativi, tra cui il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e quello degli Affari Esteri, l’Ambasciata Italiana, la rete Consolare e degli Istituti Italiani di Cultura negli Stati Uniti e in Canada.

sabato 4 giugno 2016

IL FUTURO DELL'ECONOMIA ITALIANA ALL'ESTERO SEMBRA CONTINUARE A PARLARE LINGUA RUSSA

Le sanzioni economiche applicate nel 2014 dall' Ue nei confronti della Russia a seguito del suo coinvolgimento nella crisi geo-politica ucraina e le reazioni di Mosca sono costate, fino ad adesso, al Made in Italy 3,6 miliardi di euro. 
 

L'export italiano verso il subcontinente russo, infatti, è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34%). Molti politici, allarmati da queste cifre, che invocato la revoca immediata delle sanzioni europee applicate alla Russia per l’annessione della Crimea e per il suo ruolo nella guerra civile ucraina.